LA schiavitù dell'imballaggio

La schiavitù dell’imballaggio


Viviamo prigionieri dell’imballaggio. Carta, cartone, plastica: materiale molto spesso sprecato che serve solo a gonfiare le confezioni e i prezzi. Prendete la spesa dal salumiere, e vi ritrovate qualche fettina di prosciutto incartata come se fosse una pregiata pergamena.

Oppure una confezione di profumo, che devi spacchettare per qualche minuto prima di arrivare al prodotto acquistato. Qualche giorno fa ho ricevuto qualche barattolo di miele: erano contenuti in scatole e carta dove poteva entrare una sedia da scrivania.

Ma l’imballaggio non è un trucco senza scopi, fa parte della filiera ragionata dello spreco. Grazie al suo uso dissennato, infatti, è possibile caricare le merci al consumatore fino a un terzo del prezzo. Negli ipermercati dove sono stati introdotti i punti vendita di generi alimentari “sfusi”, è facile trovare pasta, caffè e spezie a un costo inferiore di un terzo rispetto a quelli confezionati.

Lo spreco dell’imballaggio, infine, produce un doppio danno. Se da un lato gonfia i prezzi all’acquisto, dall’altro contribuisce in modo determinante a intasare la catena dello smaltimento dei rifiuti. Quasi la metà dei rifiuti urbani che produciamo, sono il frutto dell’over packaging e se, per ipotesi, rinunciassimo agli imballaggi avremmo risolto il problema della spazzatura che invade le nostre strade.

In America è in pieno svolgimento una campagna intitolata “Riduci l’involucro e risparmi”. In Italia, forse è il caso di tornare a vecchie abitudini della spesa come la famosa busta della nonna. E di protestare quando il salumiere fa il furbo e imbottisce la fettina di prosciutto con l’inutile carta di accompagnamento.